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L’impatto della ecografia nella diagnosi dei noduli tiroidei

L’impatto della ecografia nella diagnosi dei noduli tiroidei

L’impatto della ecografia nella diagnosi dei noduli tiroidei

Stefano Spiezia Responsabile Nodo Hub endocrinochirurgico ASL Napoli1 Centro

I noduli della tiroide sono lesioni circoscritte alla ghiandola con un diametro di almeno 5 mm. Possono presentarsi isolati o nell’ambito di un gozzo multinodulare e  costituiscono una evidenza clinica frequente nella nostra popolazione e rappresentati nel 5% nelle donne e 1% negli uomini, con una frequenza di noduli rilevati mediante esame ecografico del 19-68% nella popolazione generale.

Nella maggior parte dei casi i noduli tiroidei sono normofunzionanti ed asintomatici.

In condizioni di normale funzione  infatti il quadro clinico è strettamente dipendente dal volume e  dalla posizione delle lesioni ed è rappresentato da  deformità del profilo del collo e da sintomi compressivi, quali dispnea, disfagia e talvolta disfonia (che fa temere una possibile infiltrazione da tumore maligno).

L’esame gold standard per lo studio dei noduli tiroidei è l’ecografia ad alta risoluzione con Color Doppler che fornisce importanti informazioni sulla struttura e volume dei noduli e permette di valutare i criteri di sospetto utili per selezionare i noduli da sottoporre a biopsia con ago sottile (FNAB).

Solo nel 7-15% dei casi le lesioni si rivelano infatti maligne o potenzialmente tali, con una incidenza globale di 14/100.000 abitanti,  rapporto F/M di circa 4/1 e massima frequenza per età tra i 45 e 50 anni; possano però presentarsi ad ogni età con una prevalenza del carcinoma papillifero più frequente nella popolazione giovanile vs. il carcinoma follicolare più diffuso negli anziani.

I più frequenti sono tumori differenziati (carcinoma papillare oltre il 70% dei casi) con prognosi  molto più favorevole rispetto agli anaplastici e midollari, tumori molto più rari ed aggressivi.

Le società scientifiche certificano l’importanza di una corretta selezione dei noduli da bioptizzare in base alla presenza di caratteri ecografici di sospetto congiuntamente alla valutazione dei fattori di rischio individuale (pazienti irradiati, familiarità per patologia tumorale della tiroide, pregressa neoplasia del collo o carcinoma mammario), nodulo in rapida crescita, recente insorgenza di raucedine, fissità del nodulo, linfoadenopatia laterocervicale satellite.

In particolare sono considerate a rischio le lesioni caratterizzate da microcalcificazioni, ecostruttura ipoecogena (di aspetto più scura) rispetto al parenchima circostante, margini irregolari, diametro anteroposteriore su trasverso maggiore di 1 in proiezione trasversale (forma più alta che larga) e vascolarizzazione intralesionale ed anarchica. Di chiara ed univoca interpretazione appare allo stesso modo l’evidenza ecografica di infiltrazione capsulare o dei tessuti contigui e le metastasi linfonodali.

Negli ultimi anni numerosi centri hanno applicato scale di valutazione del rischio neoplastico. definite TIRADS (Thyroid Image Report and Data System), con il fine di eleggere i noduli a più elevato rischio di malignità e meritevoli di approfondimento diagnostico con FNAB.

I TIRADS quantizzano quanto deducibile  in modo intuitivo: la presenza contemporanea di più criteri di sospetto accresce il rischio di malignità.

Si è giunti così a delineare delle indicazioni di massima: una caratteristica ecografica isolata rende scarsamente indicata la pratica citoaspirativa, due criteri forniscono un’indicazione moderata all’esecuzione del FNAB, almeno 3 caratteristiche rendono altamente indicata la biopsia.

Il “peso” delle singole caratteristiche non parrebbe però essere del tutto uguale.

Quanto esposto, dunque, invita l’operatore ad usare gli strumenti che possiede senza mai prescindere dal contesto clinico.

A differenza di quanto sostenuto per anni, le dimensioni nodulari sembrerebbero non costituire un accurato parametro predittivo di malignità. La attuale non raccomandazione a praticare FNAB sulle lesioni subcentimetriche nasce dall’idea (da alcuni ritenuta opinabile) che i carcinomi tiroidei hanno un andamento piuttosto indolente, tale da non giustificare un atteggiamento così aggressivo, a meno che non coesistano altri fattori di rischio  (ad esempio la presenza di linfoadenopatia satellite) onde evitare di creare “patologia” prima che essa abbia evidenza clinica.

Nell’analisi ecografica del collo non vanno ovviamente dimenticati i linfonodi, alla ricerca di quelle  caratteristiche ecografiche che sono suggestive di metastasi e la natura del linfonodo va comunque verificata con l’esame citologico e/o con la determinazione della tireoglobulina (Tg) sul liquido di lavaggio. Le stazioni linfonodali più frequentemente coinvolte nella diffusione metastatica risultano essere quelle del III (perigiugulari medi), IV (perigiugulari inferiori) e VI compartimento (paratracheali).

In contrapposizione a quanto esposto fino ad ora esistono parametri ecografici piuttosto rassicuranti, che con buona approssimazione indicano una diagnosi di benignità.

Possiamo  eleggere predittori di benignità per eccellenza l’aspetto spongiforme  e cistico (nodulo completamente anecogeno cioè privo di echi). Questi criteri ecografici candidano il paziente esclusivamente a regolare follow-up ecografico ogni 12-24 mesi.

L’aspirazione di un nodulo cistico può dunque avere senso solo come trattamento terapeutico,con il fine di decomprimere le strutture limitrofe e preparare il paziente ad un’eventuale e successiva alcolizzazione della formazione, oggi ritenuta il trattamento di elezione per le formazioni a contenuto liquido.

Lo studio ecografico in particolare con il Color Power Doppler non si limita però alla visione dicotomica benigno-maligno, può infatti fornire importanti nozioni indirette sullo stato funzionale del nodulo, è il caso dell’adenoma tossico caratterizzato dalla presenza di un nodulo di forma  ovalare, a margini netti, con alone ipoecogeno periferico sottile ed uniforme, unico o dominante nel contesto di una ghiandola multinodulare. Il quadro si contraddistingue per la presenza di ricca vascolarizzazione peri ed intranodulare, con poli vascolari spesso grossolani e tortuosi. Solo in questi casi la conferma diagnostica si avvale comunque di un saggio di funzionalità tiroidea e di una scintigrafia con tecnezio radiomarcato o con iodio 123.

La genetica molecolare per una diagnosi affinata

In base a quanto precedentemente esposto Il tumore della tiroide è il tipo più comune di neoplasia maligna endocrina, la cui diagnosi ultimamente è andata aumentando in tutte le casistiche, per una serie di motivi legati in particolare ai fattori nocivi ambientali, ma anche ad una aumentata capacità di diagnostica legata alle nuove tecnologie e grazie, in particolare, alla diffusione della metodica ecografica.

Pur essendo la ecografia non utilizzabile come metodica di screening su larga scala, a causa della elevata prevalenza della patologia nodulare, questa metodica risulta insostituibile nello stabilire i caratteri di sospetto di un nodulo tiroide su cui andare a definire un percorso terapeutico previa la esecuzione di un esame citologico su agoaspirato. Emerge, dalla letteratura scientifica internazionale, la grande utilità della diagnosi citologica in grado di dare una risposta diagnostica nel 70 – 80% dei casi; comunque, in uno 20 30% dei noduli l’ agoaspirato non può escludere la presenza di una neoplasia maligna. In questi casi l’agoaspirato esprime un referto cosiddetto indeterminato o TIR tre. Secondo le più recenti linee guida il TIR tre o indeterminato, è distinto in due sottoclassi, A e B, La prima è associata ad un rischio di malignità intorno al 15 20% e la seconda intorno al 35-40 percento. Nel primo caso è consigliato un monitoraggio ecografia e ormonale del nodulo a sei mesi con una ripetizione dell’agoaspirato, Nel secondo caso è consigliato un intervento chirurgico di lobectomia o di tiroidectomia totale che permetta anche di fare una diagnosi definitiva oltre che assicurare la guarigione nella quasi totalità dei casi. Ed è proprio in questa zona grigia, cosiddetta della citologia indeterminata, che si esprime il ruolo dei nuovi marker molecolari che permettono di fare una più accurata diagnosi preoperatoria di malignità nel nodulo tiroideo.

Questo nuovo approccio diagnostico è basato sulla ricerca di markers molecolari della neoplasia maligna tiroidea, riuscendo ad esprimere attraverso la ricerca di mutazioni somatiche dell’espressione genica eseguita sui campioni di agoaspirato, una più accurata stratificazione del rischio relativo alla malignità dei noduli tiroidei indeterminati. Questo nuovo panel di esami ha un grande ruolo nel poter indirizzare il chirurgo solo verso interventi risolutivi evitando o riducendo il ricorso ad interventi inutili.

Inoltre, i markers espressione di mutazione genica oltre a fornire un’importante e significativo aiuto nella diagnosi preoperatoria di malignità sono in grado di fornire indicazioni determinanti nella valutazione preoperatoria della aggressività della neoplasia: infatti alcune mutazioni sono particolarmente legate a caratteristiche di aggressività istopatologica del più comune dei tumori della tiroide, il carcinoma papillare, con espressioni di maggiore rischio alla invasione, infiltrazione  extra capsulare e alle metastasi linfonodali, con rischio di recidiva tumorale e conseguente aumento della mortalità correlata. Si ritiene pertanto che l’uso dei markers molecolari espressione di mutazione genica  siano in grado di dare un significativo miglioramento nella gestione dei pazienti portatori di noduli della tiroide.

Il trattamento dei noduli tiroidei: chirurgia e terapie mininvasive

Considerando che la flow-chart terapeutica è ben codificata e condivisa per il nodulo maligno, diverse opzioni sono ora disponibili per i pazienti che presentano noduli benigni della tiroide, che vanno dalla semplice osservazione clinica, al follow-up fino alla chirurgia della tiroide. La chirurgia della tiroide anche se è ampiamente disponibile, altamente-efficace e sicura in centri qualificati, può presentare complicazioni (temporanee e permanenti) nel 2-10% dei casi.

L’ipotiroidismo è un effetto inevitabile dopo la tiroidectomia totale, la terapia sostitutiva con levotiroxina deve durare tutta la vita. Inoltre, l’intervento è costoso, non può essere raccomandato per i pazienti ad alto rischio ed è rifiutato da altri.

La terapia con radioiodio (I131) ha dimostrato di essere efficace per il trattamento di gozzi tossici multinodulari e autonomi(AFTN). La terapia con I131 normalizza la funzione della tiroide e riduce significativamente il volume della tiroide. Tuttavia, l’ipotiroidismo si verifica spesso, fino al 60% dei pazienti, diversi anni dopo il trattamento mentre mostra solo incompleti, deboli effetti nei noduli tiroidei non-funzionanti, freddi alla scintigrafia.

Una terapia TSH-soppressiva con L-tiroxina è stato ampiamente usata per realizzare riduzione volumetrica del nodulo ed impedire formazione e crescita dei noduli e, producendo risultati tuttavia controversi ed esposizione dei pazienti agli effetti collaterali sull’osso e del cuore. Di conseguenza, le linee guida attuali non è consigliabile l’uso di routine nella pratica clinica, suggerendo la sua utilità in alcuni casi solo.

Pertanto oggi la chirurgia è considerata il trattamento di elezione (gold standard)  delle patologie tiroidee, sicuramente per quelle maligne, ma recentemente trattamenti alternativi alla chirurgia si sono fatti avanti negli ultimi anni e diffusi oramai nei più grandi centri qualificati.

La iniezione percutanea di Etanolo (PEI) è raccomandato per il trattamento di cisti recidivanti e noduli tiroidei a dominante cistica. A causa delle limitazioni della PEI nella gestione dei noduli tiroidei solidi, metodiche che utilizzano la  ipertermia sono stati introdotte per il trattamento di lesioni solide, benigne della tiroide  con l’obiettivo della riduzione volumetrica del nodulo e miglioramento clinico dei sintomi correlati al nodulo, con importanti esperienze in diverse serie di centri qualificati, soprattutto in Corea e in Italia, tra questi la termoablazione radiofrequenza indotta (RF), inizialmente introdotta più di venti anni fa per il trattamento delle neoplasie maligne del fegato  più recentemente si è mostrata efficace nel trattamento di neoplasie di altri organi.

La maggior parte dei noduli tiroidei, benigni al FNB, sono asintomatici, stabili o in crescita lenta nel tempo e non richiede alcun trattamento.

Tuttavia, i noduli della tiroide di grande volume possono diventare responsabili di sintomi di compressione, con conseguente disagio al collo, danni cosmetici e diminuzione della qualità della vita.

Pertanto dal 2005 la metodica RF é stata proposta per il trattamento dei noduli a struttura mista e/o solida della tiroide, causa di sindrome compressiva in pazienti non candidabili all’intervento chirurgico o che non vogliono essere sottoposti ad intervento chirurgico. Sono trattabili anche i noduli iperfunzionanti (tossici che causano ipertiroidismo) e quelli che causano inestetismi del collo.

I risultati di questa moderna terapia mininvasiva sono estremamente incoraggianti: i

noduli nel primo anno si riducono fino al 78% del volume iniziale, la riduzione di volume è già evidente ad un mese dal trattamento con riduzione media del 30-40% del volume basale. I noduli tossici nel 65% dei casi sono trattati con ripristino della normale funzione tiroidea, in una minoranza di casi più resistenti si riesce a dimezzare comunque la somministrazione del farmaco anti tiroideo e si può poi ricorrere al trattamento con I131 ma con dosi molto inferiori a quelle necessarie senza il trattamento preventivo con RF.

Si possono trattare anche metastasi laterocervicali in pazienti plurioperati, ma

non ci sono raccomandazioni per i tumori maligni tiroidei se non per gli anaplastici a scopo decompressivo e palliativo .

La RF induce una lesione termica nella lesione bersaglio per mezzo di un campo elettrico alternato, prodotto da un ago elettrodo introdotto per via percutanea mininvasiva in anestesia locale nella tiroide, l’ago ècollegato ad un generatore esterno di radiofrequenza. La necrosi del tessuto avviene intorno alla punta dell’ago, attraverso il riscaldamento indotto dal rapido movimento di ioni, in modo controllato.

Come protocollo pre trattamento il paziente deve eseguire un FNB ecoguidato, lo

screening ormonale e degli anticorpi, un ecg, un rx torace e le prove emocoagulative; non

deve assumere farmaci anticoagulanti o antiaggreganti che vanno sospesi prima del

trattamento.

Dopo anestesia locale, l’ago di piccolo calibro e internamente raffredato, viene inserito nel nodulo di destinazione senza necessità di incisione. Pochi secondi di applicazione RF sono necessari per indurre necrosi termica del tessuto intorno alla punta dell’ago, come mostrato dai cambiamenti transitori iperecogeni (più chiari) nel tessuto trattato. Inizialmente, la punta dell’elettrodo attivo è posizionata nella parte più profonda del nodulo e quindi spostata indietro in zona centrale e in direzioni superficiale. Questa tecnica definita “moving shot” distrugge multiple aree concettuali del nodulo spostando la punta dell’elettrodo sotto guida ecografica.

A seguito di una o più sessioni di RF, a seconda delle dimensioni del nodulo, si assiste ad una riduzione significativa del volume del nodulo (46-93% in studi differenti) e sembra essere stabile durante un follow-up di 10 anni. La funzione della tiroide non è interessata dal trattamento di RF, e questo è un vantaggio importante rispetto a terapia chirurgica o con radioiodio.

Il tasso di complicazione generale per RF è intorno al 1,4% nelle varie casistiche dei gruppi italiani e coreani. Il dolore, di solito transitorio e mite, è l’effetto collaterale più frequente durante la procedura, il cambiamento della voce è molto raro e può essere evitato ponendo particolare attenzione quando il trattamento è eseguito in tessuto nodulare molto vicino al nervo ricorrente.

Pertanto una curva di apprendimento è necessario per prevenire e gestire correttamente le complicanze nel caso in cui si verificano.

Guardando alle prospettive future, possiamo speculare su altri possibili campi di applicazione di questa tecnica, in patologie benigne e maligne. Ad esempio noduli della tiroide a crescita lenta benigni potrebbero essere trattati con RF anche in fase iniziale, prima che diventano responsabili di sintomi locali e discomfort cosmetici, rendendo la RF trattamento ancora più tollerabile, facile ed efficace.

Infine, alcuni autori vanno registrando in tutto il mondo che il microcarcinoma papillare della tiroide (PTMC) spesso rappresenta una lesione a decorso lento, per cui la tiroidectomia totale potrebbe essere una scelta terapeutica troppo aggressiva. Anche se le opinioni degli esperti non ci permettono di trattare oggi queste lesioni con approccio conservativo, possiamo supporre che nel prossimo futuro queste tecniche potrebbero svolgere un ruolo primario anche nel PTMC, quando né la multifocalità nè la metastasi sono osservabili, per offrire ai pazienti un’opzione terapeutica meno aggressiva senza ridurre i risultati clinici e un altissimo tasso di sopravvivenza libera da malattia.